Uno, nessuno, centomila social per il professionista

Uno, nessuno, centomila social per il professionista

Quale professionista non ha mai valutato l’eventualità di impiegare i social per incrementare la propria affermazione professionale e, banalmente, trovare nuovi clienti? Raffaele Torino, avvocato e professore universitario, nonché collaboratore in L4V, ci fornisce un interessante spaccato della professione legale ai tempi dei social.

 

Al giorno d’oggi, per far crescere il proprio business, molti professionisti (ma non tutti) ritengono inevitabile il ricorso ai social: questo, perché viviamo in una società e in un mondo di relazioni sempre più digitalizzato ed esposto sul web. Quelli convinti dell’impiego dei social va da sé che s’interroghino su quali siano i canali più adatti e su come usarli al meglio.

Non sono un esperto di Social, non li ho analizzati e studiati, non ho fatto sufficienti letture e non dispongo di statistiche affidabili e sensate per fornire risposte generali (e, se devo essere proprio sincero, ritengo che tali analisi, studi e statistiche non siano stati ancora elaborati). Riporto comunque con piacere la mia esperienza, con gli inevitabili dubbi e perplessità, sperando che possa servire ad avviare una discussione utile a far chiarezza sulla relazione fra social e promozione professionale.

 

Una presenza dinamica

Non v’è professionista che, prima o poi, non si sia interrogato sull’utilità di stabilire una propria presenza nel mondo dei social e, nello specifico, farlo su quelli che sembrano i canali più adatti a questo scopo: Linkedin e Facebook. Per un professionista entrare a far parte della rete significa esistere professionalmente sul web non solo in maniera statica (vale a dire con un sito web che ha la funzione di un biglietto da visita evoluto), ma dinamica, ossia facendo notare la propria presenza per ciò che si pensa e dice o ciò che si fa.

La domanda, a questo punto, sorge spontanea: vale la pena postare foto o brevi documenti, condividere o fare commenti a post altrui, mettere i famigerati like o persino caricare brevi video professionali, di fatto sottraendo il relativo tempo ad altro?

Per rispondere a queste domande occorrerebbe sapere (e non intuire) quanti e quali fruitori di servizi professionali hanno fatto in qualche modo dipendere la scelta del professionista dei servizi del quale avevano bisogno dall’impressione che hanno ricavato del professionista infine prescelto, sulla scorta della sua presenza sui social e di ciò che detto professionista ha postato, condiviso o apprezzato con un like.

 

Comunicare le abilità

In che misura ciò avviene? È infatti plausibile credere che i potenziali clienti giungano a scegliere il professionista perché ha postato su LinkedIn delle riflessioni interessanti ed acute su un determinato tema? Oppure perché cura un blog con post settimanali di approfondimento su una materia in cui ritiene di avere una expertise specialistica? O, ancora, perché in brevi video-pillole risolve piccoli problemi o illustra una novità regolamentare?
Ritengo che i social possano ragionevolmente rappresentare l’evoluzione del passa-parola che ha sempre costituito il principale modo con cui colui che ricerca determinati servizi professionali acquisisce le informazioni necessarie per la scelta del professionista più adatto ma che, almeno nel mio settore, la specifica ed alta competenza rimangano ancora i criteri di selezione finali.

I due approcci si posizionano così in maniera complementare l’uno rispetto all’altro: se è vero che le competenze, nel settore legale, sono la principale discriminante nella scelta di un professionista rispetto ad un altro, una corretta comunicazione di tali abilità può servire come volano e come creatrice di visibilità. Un biglietto da visita, ma dinamico, appunto.

La mia sensazione è che il potenziale cliente si muova ancora secondo schemi tradizionali di ricerca e selezione, quanto meno nel contesto italiano, e che la necessaria presenza sui social debba essere ottimizzata in funzione del tempo e delle risorse a disposizione. In questo senso, comunicare la propria presenza sui social deve essere il più efficiente possibile. Per alcuni, affidarsi a dei professionisti che, in parallelo seguono questa attività, può rappresentare una soluzione.

Per altro verso, dalle ragioni della presenza di molti professionisti sui social non può essere esclusa (e non mi sento certo di escluderla per me) una certa motivazione edonistica, di show-off di quel che si fa e di quel che si è da un punto di vista lavorativo. Se a ciò uniamo l’innata curiosità dell’essere umano a sapere cosa fanno gli altri membri della sua specie il cerchio dell’offerta e della domanda si chiude. Ecco allora che, nonostante la presenza sui social non è detto porti nuovi incarichi professionali, il piacere di mostrarsi e farsi sperabilmente apprezzare fa sì che sempre più professionisti siano oggi felicemente social-addicted.

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